Treviso - Casa di Ricovero Umberto I - Località di internamento

Treviso (Treviso) - Italia
Tipo di campo
Località d'internamento 05/09/1942 19/08/1944
Fonte: AC00674 AC00681

 

Storia

Da un documento del 5 settembre 1942 (vedi AC00674), sappiamo che a Treviso, in alcuni locali della Casa Cronici, sono alloggiate alcune famiglie jugoslave deportate in Italia in quanto "congiunti di ribelli".

 

La prima famiglia è la più numerosa. Otto persone, con Stefano Ban nato a Potkum (Podhum?) il 31 agosto 1886 come capo famiglia. Con lui ci sono la moglie, quattro figli (il più piccolo, Francesco ha poco più di un anno), il padre e una sorella, Eva.

 

La seconda famiglia è composta da padre (Dragutin Petrovic), moglie (Albina Grabar) e la figlia Maria nata a Potkum (Podhum?) il 23 dicembre 1940.

 

Orsola Ciucic, ha 29 anni e anche lei è nata Potkum, e si trova deportata a Treviso con tre figli, Marsanic Antonio (1936), Anka (1939) e Giovanni (1941).

 

Anche Stefania Ban è una madre sola con un figlio, Stanislao nato a Potkum nel 1939. 

 

Infine, gli ultimi due sono internati soli (così erano classificate le persone deportate senza famiglia). Si tratta di Maria Stipic (Potkum, 1894) e Giuseppe Maljac (Potkum, 1879).

 

Ttutti e 19 gli internati provengono quindi dalla cittadina di Potkum. In realtà si dovrebbe trattare di Podhum in quanto Potkum è una località inesistente.

 

Come sappiamo, Podhum è il luogo in cui il 12 luglio del 1942, come forma di rappresaglia per l'uccisione dei maestri elementari italiani Giovanna e Franca Renzi, vennero fucilati in una cava nelle vicinanze del paese 108 maschi (127 secondo altre fonti), date alle fiamme e distrutte 370 abitazioni e altri 127 edifici, e internato tutto il resto della popolazione, ossia 889 persone (vedi, tra gli altri, Giacomo Scotti, 2012, pp. 226-7).

 

La rappresaglia venne eseguita su ordine del prefetto di Fiume Temistocle Testa.

 

Come riporta sempre lo stesso documento, provengono dalla cittadina distrutta di Podhum anche le famiglie internate in un altro comune della provincia di Treviso, Portobuffolé. Invece, non è indicato il luogo di provenienza per gli internati - sempre congiunti di ribelli - alloggiati negli altri comuni: Castel di Godego, Revine Lago, Vazzola, Riese e Onè di Fonte (vedi sempre AC00674).  

 

Un secondo documento rintracciato è del 3 dicembre 1942 (vedi AC00191), quindi diversi mesi dopo l'arrivo a Treviso del gruppo di deportati da Podhum.  In esso, il prefetto Salvatore Rapisarda informa il Ministero dell'Interno che i "ricoveri di mendicità" della provincia non sono luoghi adatti dove alloggiare bambini e famiglie, come è il caso degli internati al momento ancora sistemati nella Pia Casa Umberto I di Treviso.

 

D'altra parte, visto che la stessa amministrazione della Pia Casa sollecita l'allontanamento degli internati, sarebbe opportuno e urgente - sempre secondo il prefetto - adattare i locali disponibili nel comune di Portobuffolè, dove è previsto il ricovero di altri 20 internati (vedi sempre AC00191).

 

Nel frattempo, per venire incontro almeno in parte alle richieste del Ministero di trasferire gli internati presso i ricoveri per poveri - una misura che ha come obiettivo principale quello di risparmiare sulle spese di mantenimento degli internati stessi -, il prefetto riesce a trasferire da Treviso almeno le due persone "isolate". Il 15 dicembre 1942, Giuseppe Maljac e Maria Stipic raggiungono la Casa di Ricovero di Montebelluna (vedi AC00213).

 

Alla fine di gennaio nulla sembra essere ancora cambiato. La direzione della Pia Casa Umberto I continua a chiedere l'allontanamento degli internati, mentre il prefetto di Treviso arriva a proporre il loro trasferimento al vicino campo di concentramento di Monigo (vedi AC00212). Ma anche questa ipotesi non ha alcun seguito, forse, pensiamo noi, perché il campo per internati civili di Monigo è gestito dall'autorità militare e non da quella civile.

 

Ancora nel maggio del 1943 la situazione non è risolta. Gli internati continuano a risiedere alla Pia Casa, e il prefetto a sollecitare i lavori di adattamento dei locali di Portobuffolè per trasferirvi gli internati. In questa occasione viene trasmesso al Ministero dell'Interno anche un elenco nominativo degli internati. L'elenco riporta 14 nomi. Oltre alle due persone già trasferite alla Casa di Ricovero di Montebelluna, dal nuovo elenco manca la famiglia di Dragutin Petrovic (composta dalla moglie Albina Grabar e da una piccola bambina, Maria). Infatti, da un documento della prefettura di Ferrara, scopriamo che i tre sono stati trasferiti nei primi giorni di gennaio del 1943 nel comune di Sant'Agostino (vedi AC00429) dove c'erano dei posti disponibili.

 

Il documento precedente (vedi sempre AC00211) è importante anche per un appunto scritto a matita sulla prima pagina: (probabilmente di qualche funzionario della Divisione Generale dei Servizi di Guerra del Ministero dell'Interno)  "perché non mandarli a Fraschette?".

 

In località Fraschette di Alatri, in provincia di Frosinone, è in funzione ormai da diversi mesi un grande campo di concentramento per civili gestito proprio dalla Direzione Generale dei Servizi di Guerra del Ministero dell'Interno, che vi ha fatto affluire - tra gli altri - molti dei congiunti di ribelli assegnati all'internamento nelle località del centro e nord Italia. Una strategia messa in atto anche - ma non solo - per risolvere i problemi della mancanza di alloggi e dei costi di mantenimento degli internati.

 

L'ordine ufficiale arriva un mese dopo, esattamente il 28 giugno del 1943: "Pregasi disporre che gli internati sloveni ricoverati nella Pia Casa Umberto I di costà siano avviati al campo di concentramento "Le Fraschette" di Alatri (vedi AC00210).

 

A questo punto, l'atteggiamento della prefettura di Treviso cambia nettamente. Salvatore Rapisarda fa presente al Ministero che sia l'amministrazione della Casa di Riposo, sia la Federazione dei Fasci Femminili di Treviso chiedono la revoca del trasferimento al campo di concentramento. Ricorda che tra gli internati ci sono anziani e bambini bisognosi di cure e che due giovani donne hanno trovato impiego come domestiche presso alcune famiglie della zona (vedi AC00209). E così il Ministero dell'Interno revoca l'ordine (vedi AC00208).

 

Tra le decine e decine di trasferimenti di "congiunti di ribelli" verso il campo di concentramento di Alatri che si registrano in Italia tra gennaio e marzo del 1943, questo di Treviso è, al momento, un caso unico. In genere, le prefetture sembrano sollecite nell'inviare gli internati dai comuni di loro competenza al grande campo di concentramento Le Fraschette di Alatri. Un modo per liberarsi di una incombenza come quella di dover garantire un minimo di assistenza agli internati. Invece, Salvatore Rapisarda - che solo qualche mese prima aveva proposto l'internamento degli jugoslavi nel campo di concentramento di Monigo - questa volta giudica più opportuno che gli jugoslavi rimangano internati a Treviso piuttosto che andare in provincia di Frosinone

 

Gli avvenimenti storici di luglio e settembre 1943 sembrano passare al di sopra degli internati della Pia Casa Umberto I di Treviso. Infatti, li troviamo ancora alloggiati in quei locali nel marzo del 1944, quando, in seguito agli accordi tra la Repubblica Sociale Italiana e la Legazione Croata iniziano i rientri degli internati nei luoghi di origine.

 

Il 10 marzo 1944 partono due famiglie, quella di Stefano Ban, con la moglie e 4 figli (ma non la sorella Eva), e quella di Stefania Ban e suo figlio Stanislao (vedi AC00177).

 

Poco dopo, durante il mese di aprile 1944, è la volta di Orsola Ciucic, Antonio Marsanic, Anka Marsanic, Giovanni Marsanic fare rientro nei propri luoghi di origine (vedi AC00176). A loro si aggiungono Giuseppe Maljac e Maria Stipic, i due internati isolati trasferiti nel dicembre del 1942 da Treviso alla Casa di Ricovero di Montebelluna.

  

Questo stesso documento documento (vedi sempre AC00176) contiene anche la notizia della morte, avvenuta il 14 aprile 1944 presso la Pia Casa Umberto I, dell'internato Francesco Ban, fu Gregorio, nato l'11 marzo 1859. Senza però specificarne la causa.

 

Dall'elenco inziale manca quindi solo il nome di Eva Ban, che in effetti ritroviamo ancora internata a Treviso il 19 agosto 1944 (vedi AC00681). Cosi come in provincia di Treviso, a Portobuffolé e Riese, sono ancora internati altri abitanti deportati da Podhum due anni prima, alla fine di luglio del 1942.

 

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Della Pia Casa Umberto I di Treviso accenna Francesca Meneghetti nel suo libro sul campo di concentramento di Monigo (Meneghetti, 2012, pp.171-174), citando alcuni documenti provenienti dall'Archivio di Stato di Treviso (fondo Prefettura) e da quello dell'AISTRESCO (fondo Dalla Costa b.13). 

 

Secondo Meneghetti, gli internati dell'Istituto di ricovero (in Borgo Mazzini 44, Treviso) sono inizialmente 25 e arrivano a Treviso il 29 luglio 1942 provenienti dal campo di concentramento di Lovran (Laurana). Nell'agosto del 1942, sei internati vengono trasferiti a Portobuffolé.

 

In effetti, un documento del prefetto di Treviso a proposito degli internati di Portobuffolè fa riferimento al loro precedente internamento nel campo (in alcuni documenti definito "provvisorio") di Laurana (vedi AC00189)

 

Meneghetti parla anche della morte di una bambina nata a Treviso, figlia dell'internata Stefania Ban, vissuta per otto mesi. Il che fa salire a due i morti tra gli internati della Pia Casa Umberto I. Sempre dal testo di Meneghetti viene una conferma che gli internati della Casa di Ricovero Umberto I di Treviso provengano proprio dalla cittadina di Podhum.


note

La nostra ricerca sulle località di internamento è ancora in corso (2013)


 
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