Marsa al Brega - Campo di concentramento

Al Burayqah - Libia
Tipo di campo
Campo di concentramento da marzo 1931 al giugno 1933
Fonte: OTT1

 

Storia

Il campo di concentramento di Marsa el-Brega entra in funzione nel marzo del 1931. Nei due anni e tre mesi in cui rimane in funzione vengono internati complessivamente 20.072 persone. Si tratta delle popolazioni che gravitano nella zona (9.000), e di quelle nomadi e seminomadi proveniente dal fertile altopiano del Gebel, deportati in seguito  all’ordine del generale Rodolfo Graziani chiamato a condurre le operazioni di repressione in Cirenaica.

 

Parte delle donne, dei bambini e dei vecchi invalidi - che si portano appresso circa 6.000 animali di piccola taglia - vengono trasportati a Marsa el-Brega via mare. Gli uomini e il bestiame (bovini e cammelli) arrivano a piedi, al termine di una marcia nel deserto durata due mesi. Dei 13.200 indigeni partiti dalle loro terre arrivano al campo solo 11.000 di loro.

 

La mattina gli internati vengono impiegati in lavori stradali nelle vicinanze della città di Marsa el-Brega. Lavorano dalle 7 di mattina alle 12 per una paga compresa tra le 7 e le 10 lire (negli anni '30 la paga giornaliere di un lavoratore italiano si aggira sulla 30 lire).

Di pomeriggio invece, gli internati possono coltivare i terreni limitrofi al campo messi a loro disposizione. Ortaggi, cereali, olive, fichi e melograni vengono successivamente venduti dalla direzione al mercato della città, e agli internati viene corrisposta una percentuale.

 

Il servizio sanitario nel campo viene assicurato per soli due giorni alla settimana da un ufficiale medico italiano e da sei infermieri indigeni senza alcuna formazione specifica. L'ufficiale medico serve anche il campo di Agedabia.

 

L’alimentazione giornaliera è costituita da 650 grammi di pane, un piatto di riso o pasta con salsa di pomodoro, due tazze di tè od orzo con zucchero, un limone, una cipolla e due litri di acqua potabile. Due volte la settimana è prevista la distribuzione di 200 grammi di carne a persona. I pasti vengono forniti alle 6 di mattina, alle 12 e alle 20.

Le famiglie che coltivano i prodotti nei terreni adiacenti al campo non hanno diritto a nessuna distribuzione di cibo.

 

Una grave carestia colpi la zona nell'estate del 1932, lasciando gli internati senza raccolta.

 

Il parco bestiame del campo, che comprende 7.000 tra cammelli, bovini e caprini - viene portato al pascolo da donne e bambini internati - sotto la sorveglianza degli  Zaptié (membri dell'Arma dei Carabinieri reclutati tra le popolazioni indigene) - nella vicina zona di Uadi Favegh.

 

Il personale del campo comprende un comandante (Delegato circondariale), ufficiali e militari di truppa dell’esercito. L'ordine all’interno del campo è affidato ad Ascari eritrei e Zaptié, mentre all'esterno il controllo è affidato a carabinieri.

Il coprifuoco inizia alle ore 22 e termina alle 6 di mattina.

 

Gli internati possono ricevere visite d’amici o famigliari durante le ore di liberta, ma sempre sotto la sorveglianza degli Zaptiè. Possono recarsi fuori del campo con l’obbligo di rientrare entro le ore 17.

 

Le trasgressioni al regolamento del campo possono consistere nel divieto di avere contatti con altre persone, di uscire dal campo, di vedersi razionato il quantitativo di acqua e cibo. Ma ci sono anche torture di vario grado: stare al sole immobile con le braccia tese o alzate gravate da grosse pietre o legati a pali, essere fustigati o imprigionati nelle fosse-prigioni anche per tre a quattro giorni, restare appesi al polso o ai piedi a travi orizzontali, essere interrati nella sabbia con la sola testa fuori, subire il taglio di mani, piedi e lingua, ma anche di essere stuprati e forzati alla prostituzione. Fino alla eliminazione fisica.

Le punizioni avvengono nella piazza centrale del campo davanti a tutti gli internati dopo il rientro dal lavoro.

 

Il complesso dei campi di Marsa el-Brega viene chiuso nel giugno del 1993 e gli internati rimessi in libertà. Successivamente il campo rimane inutilizzato.

 

(cfr. Gustavo Ottolenghi, 1997)


 
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